mercoledì 25 maggio 2016




Era il 1943, c'era la guerra e mia madre Chiara aveva 17 anni.
Viveva in campagna in una casa colonica con i genitori e le sue sorelle.
Lei era la secondogenita nata nel 1926, prima di lei c'era mia zia Piera nata nel 1924,
poi zia Ida nata nel 31 e  zia Olga nata nel 1933.
I miei nonni erano mezzadri, coltivavano la terra e accudivano il bestiame per il padrone del podere
e della casa in cui abitavano. Tutto ciò che raccoglievano con immensa fatica dalla terra andava per metà al padrone e quando
il raccolto era scarso (e capitava spesso) per loro rimaneva davvero poco, neanche quasi da sfamarsi.
Poi c'erano anche i soldati tedeschi che capitavano ogni tanto nelle campagne a far razzia di farina, uova, polli,verdure, patate e
allora voleva dire fare la fame.
Mia madre essendo la seconda figlia era stata destinata al lavoro nei campi, sua sorella più grande aveva avuto il privilegio
di andare ad imparare da una sarta a "cucire di bianco" cioè ad imparare a ricamare, tessere la stoffa sul telaio, cucire.
Le altre due sorelle erano troppo piccole per sopportare la fatica di guidare i buoi che trascinavano l'aratro, o di falciare
l'erba, o di aiutare durante la mietitura.
Ricordo che mia madre mi raccontava che capitava spesso che doveva alzarsi alle 3 di notte per aiutare suo padre nella semina,
o per dar da mangiare ai buoi, o per mungere le mucche. Lavorava come un uomo, forse anche di più. Con orgoglio mi diceva
che il padrone del podere, che spesso litigava con mio nonno, era soddisfatto ugulmente perchè c'era lei che sapeva mandare
avanti il lavoro nella casa colonica.
Malgrado il troppo lavoro e le immense fatiche però, mia madre era anche una ragazza carina e simpatica.Il sabato sera andava spesso a ballare in un granaio di una casa vicina
dove si riunivano i contadini della zona per passare qualche
ora di svago, c'era un'orchestrina improvvisata, che suonava la fisarmonica e l'armonica a bocca.
C'era la guerra e di giovani uomini non ce ne erano tanti, erano quasi tutti al fronte.
 Però c'era Davide, un giovane ragazzo di 18 anni, che aveva perso
la mamma da poco e che aveva 3 fratellini piccoli. Suo padre era cagionevole di salute e così doveva pensare quasi a tutto lui per mandare avanti
la famiglia, era stato esonerato dalla leva per questo.
Subito mia madre e Davide avevano fatto amicizia e malgrado a quei tempi non c'era modo di frequentarsi spesso, capitava che si vedevano qualche volta in chiesa,
o durante i mercati nel paese vicino.
Si scambiavano qualche parola e tanti sorrisi.
"Aveva dei bellissimi occhi, occhi bianchi", che nel nostro dialetto"bianchi" sta per "azzurri", mi disse mia madre la prima volta
che mi raccontò di Davide.


Passarono alcuni mesi in cui mia madre e Davide si resero conto sempre di più che la loro simpatia si era trasformata in qualcosa
di molto speciale, forse amore.
E fu proprio l'amore che spinse Davide a scrivere quella lettera da Roma. Perché, nel frattempo, purtroppo, Davide era stato costretto a trasferirsi
a Roma da uno zio materno che gli aveva offerto un lavoro presso la sua officina.
Con la guerra ancora in corso, la salute di suo padre sempre più cagionevole e che non riusciva più a lavorare nei campi
e la miseria e la desolazione che attanagliavano le campagne marchigiane,
Davide aveva accettato la proposta di un lavoro sicuro da parte di suo zio. Dapprima era partito da solo dal paesello
poi, dopo qualche tempo, aveva deciso di trasferirsi per un lungo periodo a Roma con i fratellini
e suo padre. Era felice di poter contribuire al sostentamento della sua famiglia ma terribilmente addolorato di doversi separare da mia madre. Così da Roma
le scrisse una lettera, quella lettera che mia madre avrebbe ricordato per tutta la sua vita, in cui Davide le chiedeva
di fidanzarsi con lui e di sposarla di lì a poco tempo. "Se vuoi, tuo per sempre Davide" erano queste le parole che chiudevano
la lettera e queste erano le parole che nel suo racconto, più delle altre,  pronunciava con un tono pieno di nostalgia mia madre.
Mia madre ne parlò in casa, e accadde un putiferio. La madre si mise a piangere, la sorella più grande si rabbuiò subito vedendosi già relegata al ruolo di zitella
perchè sua sorella più piccola si sposava prima di lei, e suo padre imprecò dicendo che era troppo giovane e credulona perché quel ragazzo
le avrebbe fatto fare la serva di suo padre e i suoi fratelli. Mia madre rimase scioccata dalla furia di quelle reazioni. E i dubbi che credeva di non avere
si manifestarono all'improvviso con tutta la loro irruenza. E poi sapeva che senza di lei suo padre e tutta la sua famiglia avrebbero perso due braccia
essenziali per il lavoro nei campi. Che ne sarebbe stato di loro?
Era confusa, era triste, voleva davvero bene a quel ragazzo, ma la paura del futuro, le parole di suo padre e anche il suo senso di responsabilità presero il sopravvento
e con immenso dolore rispose NO alla proposta di matrimonio di Davide. Quando  si rividero, prima della  partenza per Roma di Davide con la sua famiglia, lui
le disse che aveva sbagliato a non accettare la sua proposta, lui la amava davvero e l'avrebbe trattata sempre come una regina. Mia madre non riuscì neppure a rispondergli,
aveva la gola chiusa dalle lacrime.

Passarono diversi anni, mia madre si era sposata con mio padre e aveva già due bambine piccole, erano gli inizi degli anni '50, in una festa di
matrimonio di amici, rivide Davide. Anche lui era sposato ed era tornato nel suo paese d'origine con la sua famiglia. Mia madre lo salutò cordialmente
ma lui con fare serio la salutò sì, ma le disse anche che era meglio che le stesse lontano, soffriva ancora troppo.
Mia madre abbassò gli occhi e le si spense il sorriso. Per alcuni anni capitò che si incrociassero, ma mai più si rivolsero la parola.
Passarono ancora gli anni e non si rividero, né seppero più nulla l'uno dell'altra.

Era l'inverno del 1990, mia madre era già vedova, mio padre era morto nel 1983, e una sera ricevette una telefonata. Dall'altro capo del filo c'era una voce
di donna, una sconosciuta che, chiedendole scusa per il disturbo, le disse che aveva faticato tantissimo a trovare il suo numero. Nell'elenco telefonico
non risultava nessuna Bellucci Chiara. Poi però, grazie all'aiuto di parenti di mia madre era riuscita a rintracciarla. Si presentò, era la moglie di Davide.
Davide era morto, dopo una lunga malattia però, prima di morire, le aveva fatto promettere che avrebbe informato della sua morte anche la sua carissima amica di gioventù, Chiara.
E così aveva fatto. Mia madre, emozionata,  la ringraziò con tutto il cuore!

Penso che un amore così capiti poche volte nella vita, un uomo che in punto di morte, a distanza di 50 anni, pensi ancora al suo primo amore di gioventù
è davvero raro. Un amore di altri tempi, del secolo passato, un amore vero. Spesso ho detto a mia madre che era stata davvero fortunata ad avere
conosciuto un uomo come Davide.  E lei sorrideva.




lunedì 9 maggio 2016




Clara era la sorella di mio cognato Carlo (il marito di mia sorella Ivana), è mancata alcuni giorni fa
all'età di 79 anni. All'età di 5 anni fu colpita da una paralisi che le lesionò il cervello rendendola incapace di parlare e parzialmente incapace di muoversi e soprattuto non più n grado di capire e di riconoscere i propri cari. . Era il periodo della guerra e allora medici e forze dell'ordine costrinsero i suoi genitori a ricoverarla in una struttura per malati mentali, un manicomio. 

Questa è la lettera scritta da suo nipote Umberto (e anche mio nipote)  per salutarla e ricordarla.
Ci piaceva condividerla con voi.

domenica 8 maggio 2016


Auguri a tutte le Mamme

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Madre

Sa asciugare qualunque tua lacrima
e lenire ogni tua ferita
Sa guardare oltre ogni tuo  dolore
e sorreggerti lungo il tuo cammino
E se cadi 
ti insegnerà ad alzarti
e se perdi la forza
ti regalerà la sua forza
Ogni tuo errore
lo perdonerà
ogni tua sconfitta
la accettterà
Ma se sarai felice
gioirà con te
in silenzio
senza fare rumore
perchè l'amore di una madre
non ha bisogno 
di parole.